…in quelle fotografie del suo paese c’era sempre il sole
ma Don Camillo ci vedeva anche piovere e grandinare e nevicare…
Don Camillo Monsignore ma non troppo (1961)
Chi è nato a Toleto, o per lo meno vi ha trascorso del tempo, rivedendo le immagini del Paese non può fare a meno di pensare a quelle ventiquattro case, alla chiesa, al tamburello…ad un luogo che racchiude sensazioni molto intense.
Questi luoghi, che risalgono nel tempo a ben prima del viaggio di Colombo in America, hanno avuto la loro massima espansione intorno agli anni Trenta del Novecento, quando Toleto raggiunse il massimo dei suoi abitanti, sino a divenire Parrocchia nel primo dopoguerra, quando erano già in atto i segni di una decadenza che sei anni di conflitto avevano acuito.
Chi ha i capelli bianchi, ricorda con un poco di nostalgia quel periodo, l’abbandono delle campagne, gli anni della Mezzadria in zone migliori, la fuga nelle città, Torino, Milano, Genova, addirittura la Francia, alla ricerca di quel lavoro che la terra non garantiva più e che una città in via di ricostruzione poteva invece dare. Sono gli anni dello spopolamento del paese, gli anni delle case abbandonate, delle stalle vuote.
Con gli anni Sessanta, e il mito della casa in campagna si ritorna al paese natio: mamme e nonne nei mesi estivi accudiscono i bimbi che aspettano la domenica per rivedere il loro papà. È questo il periodo delle grandi compagnie di ragazzi, dei locali che raccolgono giovani provenienti anche da lontano, dei tornei di tennis, tamburello e pallone.
Oggi non è più così: il mutare della società ha favorito la ricerca di mete più turistiche. papà e mamma lavorano entrambi e i figli arrivano in età più avanzata cosicché i nonni sono sempre più vecchi e meno in forze…e Toleto, come del resto i paesi vicini, si ripopola soltanto nelle settimane intorno a Ferragosto…
Questo lavoro vuole ricordare a chi l’ha vissuto e vuole far conoscere a chi non l’ha mai visto, come era il mondo piccolo di Toleto qualche tempo fa: immagini e parole donate da amici e confratelli che hanno voluto fare partecipi i lettori di sensazioni comune e di dolce nostalgia per questi luoghi a noi tutti tanto cari tali da farci sentire forse più vicini a Dio, perché è proprio Qui che siamo più vicini a noi stessi…
A’m ricòrd Turei Dìl vèintquàter ca a i-ho duss ssagrèin ‘d tìte il prèie. ‘D la cèsa ‘d nostr vécc ùre ‘d ssu chi finìvo mâi la dumìnica e antùrn sson ‘d baudrëtta. Ant-l’éra granda, an méss a l’âire e la pùve, ‘ss sento i culp sséch d’in témp, chi fan amnì an mént i giò d’na vòta.
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Io ricordo Toleto Delle ventiquattro case ho dolce rimpianto di ogni pietra. Della vecchia chiesa antica assolate lunghe ore domenicali contornate da argentini rintocchi. Nella piazza grande, celati nell’aria, s’odono vecchi secchi schiocchi, sonore memorie di vetusti giochi.
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Un caloroso ringraziamento va a tutti i toletesi, di nascita ed acquisiti, sangue e corpo del corrente libro, che con consigli, opinioni e forniture fotografiche hanno permesso la realizzazione dello stesso. Un debito sincero allo stimato artista Mauro Ivaldi autore della copertina e al dottor Leonardo Musso (grognardese di nascita e cittadino toletese onorario) per le sue pregevoli traduzioni nella nostra lingua piemontese. Un affettuoso grazie va poi alla pro-loco di Toleto e a tutti gli amici della Confraternita di San Giacomo, che continuano a portare avanti le tradizioni dei nostri vecchi.
Infine un ultimo grazie a te, piccolo Toleto, che con i tuoi lenti ritmi, i tuoi silenzi, la tua tranquillità ci trasmetti un po’ di serenità nel lungo cammino della vita e…
…quando sarà il momento,
lasciatemi qui,
tra le ventiquattro case
ai piedi della Suria
e dopo un ultimo sguardo
alla mia piazza,
mi incamminerò lento
verso il mio piccolo angolo
di paradiso.