Sorte alla fine del
Quattrocento le confraternite sono associazioni spontanee di persone per
lo più laiche che si uniscono, sotto la guida di regole precise, per
condurre in comune la loro vita religiosa. Sebbene fossero fondate per
preparare all’esistenza ultraterrena, furono coinvolte nelle attività
sociali, politiche e culturali delle comunità svolgendo un ruolo d’estrema
importanza, spesso sottovalutato dagli storici: organizzavano scuole
domenicali e funerali, gestivano ospedali e orfanotrofi, patrocinavano le
arti e la musica, davano asilo e perseguitavano gli eretici, fornivano
doti e accompagnavano al patibolo i condannati, alternando la cura
materiale del corpo all’interesse, certamente preminente, per l’anima.
Generalmente le varie confraternite, a seconda del tipo e degli scopi
statutari, vengono divise dagli storici in Laudesi, Disciplinati,
confraternite eucaristiche e le confraternite legate alle corporazioni
delle arti, che si svilupparono soprattutto nel nord Italia e a Venezia in
particolare.
La storia delle
Confraternite in Europa affonda le sue radici nell’Alto Medioevo, in Francia,
ove si trovano testimonianze risalenti al VII-VIII secolo, mentre nel nostro
Paese arrivarono soltanto dopo l’anno Mille. Durante gli anni buii del
Medioevo, ricchi di eresie, sette più o meno segrete, crociate ed inquisizioni,
la cultura rimase per secoli confinata nei monasteri e soggetta ad una accurata
censura e gli scambi culturali vennero ridotti al minimo. In questo periodo,
tuttavia, i conventi e le curie videro fiorire una cristianità nuova, foriera di
una nuova componente spirituale, ben più elevata dei fasti bizantini. Tra le cause di questa
svolta è possibile annoverare la diffusione, soprattutto negli ambienti
cittadini, dei vari movimenti pauperistici, che
chiedevano con forza un ritorno alla Chiesa degli antichi valori evangelici,
lontana dalle ricchezze e dal potere che molti esponenti del Clero avevano
raggiunto: in questo contesto Valdesi,
Catari
e Apostolici,
guidati da figure carismatiche, seppero trovare vasto consenso nelle genti del
tempo.
Non tutti i nuovi movimenti d’ispirazione pauperistica sfociarono
nell’eresia,
anche se il loro dialogo con le istituzioni ecclesiastiche fu spesso interrotto
da drammatici momenti di conflittualità. Significativo, da questo punto di
vista, fu il caso di san Francesco d’Assisi e di san Domenico di Guzmàn, che
agli inizi del secolo XIII fondarono dei nuovi ordini votati alla povertà e alla
predicazione. Dopo una prima fase caratterizzata dal sospetto, gli ordini dei
«minori» e dei «predicatori » furono riconosciuti legittimi, e, anzi, iniziarono
a svolgere un’opera preziosissima nel contenimento e nella repressione dei
movimenti religiosi più radicali; la regola francescana e domenicana superarono
in gran pare l’antica regola benedettina dell’ora et labora, disponendo che
fosse compito dei frati stare in mezzo alla gente a predicare il Vangelo. In contemporanea alla
nascita di questi nuovi ordini monastici, si svilupparono anche movimenti laici
che giravano di città in città per predicare la penitenza e la conversione.
Questi erano chiamati, a seconda dei casi, Flagellanti, Disciplinati,
Battuti, per il loro uso di privarsi delle vesti e di flagellarsi nelle
pubbliche vie per dimostrare che ci si doveva mortificare per espiare i peccati
e raggiungere la salvezza in una adesione senza riserve alla Passione di Cristo
in tutti i suoi aspetti più concreti e reali.
Un nuovo impulso allo
sviluppo delle Confraternite venne dal Giubileo del 1400, indetto da Bonifacio
IX; il cosiddetto movimento laicale dei Bianchi, uomini e donne in cappa bianca,
con il volto incappucciato, provenienti dalla Provenza, attraversò la nostra
penisola diretto a Roma in pellegrinaggio.
Gli annali dell’epoca dedicano ampio spazio al passaggio dei Bianchi e
registrano la guarigione di uno zoppo, la liberazione di una schiava o il caso
del bambino che dopo tre ore in cui giaceva come morto ritornò alla vita. Quando i movimento
itineranti si esaurirono, sorsero numerose compagnie o confraternite di
disciplinati, che contribuirono non poco alla pacificazione degli animi ed al
rinnovamento della vita cristiana. I laici associati permisero alla Chiesa di
essere presente in tutti gli ambienti, costituendo un vero e proprio tessuto
connettivo di fronte al quale l'eresia non aveva la possibilità di attecchire.
Con il passare del tempo, i
disciplinanti diventano più moderati nei comportamenti e nel vestire e le
Confraternite cominciano ad essere intitolate ai Santi legati alle città con cui
si intrattenevano rapporti economici. Infatti, spesso, i confratelli
appartenevano ad una stessa classe sociale o svolgevano lo stesso mestiere; per
questo le Confraternite cominciano ad assumere il ruolo di "Arti" che forniscono
un appoggio sociale.
Nell’Alto Medioevo si
evidenzia la differenza tra il fenomeno confraternale in area urbana dove si
constata la presenza di numerosi organismi, e in area rurale, dove la
confraternita di norma è una sola ed è chiamata a svolgere anche funzioni di
solidarietà sociale oltre che di veicolo di partecipazione alla vita devozionale
e sacramentale sotto la guida del clero diocesano che spesso ne aveva
determinato la nascita. In ambito cittadino le confraternite tendono a
differenziarsi sia per quanto riguarda ceti sociali ai quali ognuna si rivolge
sia per le forme e le modalità della devozione che per le varie manifestazioni
di assistenza ai malati, ai moribondi, di onoranze ai morti.
Se all'inizio cercarono
l'appoggio e la protezione della Chiesa, con il XV secolo le Confraternite
cercano di affrancarsi rivendicando una loro autonomia; nel corso di un secolo
infatti esse acquistano un peso consistente all’interno delle comunità,
assumendo la gestione delle attività assistenziali e dilatando via via le loro
prerogative, sino a trasformarsi in veri e propri centri di potere svincolati
dalla giurisdizione ecclesiastica. Divenute economicamente autosufficienti, le
confraternite più ricche
costruirono anche sedi proprie, gli Oratori e, ben presto alle Confraternite
titolari si aggregano nello stesso Oratorio altri gruppi innescando un processo
che porterà alla costituzione delle cosiddette Casacce
che assunsero spesso il nome del santo a cui era dedicata la Confraternita o del
luogo in cui essa era ubicata.
Alle varie attività le
confraternita facevano fronte con le quote dei loro membri, con offerte di
privati, con lasciti loro pervenuti, con il reddito di beni immobili di
proprietà. Per facilitare, poi, il matrimonio di fanciulle povere, elargivano
somme di denaro, dette "doti", attingendo al reddito di particolari lasciti a
tale fine. La scomparsa fisica dei confratelli per le varie epidemie o morti
naturali, grazie ad un enorme numero di lasciti testamentari, genera inoltre per
le confraternite l’accumulo di una ingente massa di ricchezze patrimoniali.
In una organica connessione
con la conformazione stessa di un legame associativo, la solidarietà espressa
nelle confraternite aveva compreso al suo interno una doppia valenza: la prima
legata alle concrete necessità dell’esistenza umana, l’altra del legame che
stringeva nello stesso tempo i vivi e i morti. Negli statuti non mancano mai
disposizioni relative all’assistenza ai moribondi, alla sepoltura e alle esequie
per i morti, al suffragio per i defunti.
Fin dai primi secoli le
Confraternite ebbero infatti come scopi principali l’edificazione religiosa dei
vivi e la preghiera dei morti. Questo rispondeva al desiderio diffuso nel popolo
di sentirsi accompagnato al giudizio dopo la morte dal conforto di una vita
vissuta cristianamente e dalla preghiera dei propri cari. Vennero quindi
istituite successivamente manifestazioni religiose come processioni o periodi di
preghiera, in occasione di ricorrenze quali il giorno dedicato al Santo Patrono
o ad altri eventi significativi, per la vita della comunità cristiana.
Parallelamente a queste
funzioni prettamente spirituali, le Confraternite rivestirono anche un
importante ruolo sociale, intervenendo in questioni più terrene ed immanenti. In
questo ambito fu particolarmente importante la loro funzione di “società di
mutuo soccorso” ante litteram. Il moltiplicarsi delle
intitolazioni delle confraternite al Suffragio, agli Agonizzanti, alle Anime del
Purgatorio dà il conto di una centralità cultuale che ha ormai un profilo predo
minante, se non addirittura esclusivo, nella religiosità, spesso barocca, del
Seicento. Oltre ai numerosi esempi attestanti il crescente specializzarsi della
devozione funeraria, la maggiore evidenza del comune denominatore è data dalla
accurata disposizione di simboli mortuari in tutte le sedi associative. Saranno
le disposizioni francesi, relative alle sepolture all’esterno dei centri
abitati, confermate o riprese nella legislazione degli stati italiani, a
favorire una modifica profonda e radicale di questo aspetto della pietà
popolare. Ogniqualvolta nella famiglia
di un confratello si verificava un decesso o una malattia particolarmente grave,
gli altri confratelli si incaricavano di portare avanti il lavoro anche per chi
non ne aveva più la possibilità. In questo caso tutti quelli che ne avevano la
facoltà, mettevano a disposizione degli altri parte del proprio tempo e lavoro,
che impiegavano, nelle campagne a curare gli animali e a mantenere i campi in
buone condizioni, finché il proprietario non fosse stato nuovamente in grado di
portare avanti da solo il suo lavoro. In questo modo, anche se in una famiglia
veniva improvvisamente a mancare “l’uomo”, la vedova veniva aiutata finché i
figli non fossero abbastanza cresciuti per sostentarsi da soli.
La Confraternita aveva
inoltre un’altra importante funzione sociale: occuparsi della sepoltura dei
morti.
Oggi questa può sembrare cosa di poco conto, essendo uso comune essere assistiti
dalle strutture pubbliche e da un certo numero di aziende private
nell’adempimento di questo pietoso ufficio, ma queste organizzazioni sono nate
solo in tempi relativamente recenti. Il problema era di notevole importanza ogni
volta che si verificava una epidemia o una carestia: allora era veramente
necessaria una organizzazione che si facesse carico di questo lavoro, poiché in
tali tristi occasioni, che si sono ripetute abbastanza di frequente negli ultimi
secoli, il numero di decessi diventava troppo grande per poter essere gestito
dalle singole famigli. Nelle campagne questo
ufficio assumeva una valenza ancora maggiore, per la presenza di cascine
isolate, lontane dalla Chiesa ove doveva essere celebrato l’ufficio funebre. Non esisteva ancora nessun
servizio pubblico che provvedesse alla sepoltura dei cadaveri; il triste compito
era assolto in genere dalle confraternite o dai familiari del defunto. Per
coloro che non appartenevano ad alcun sodalizio e per le famiglie a cui la
miseria non permetteva il trasporto della salma, provvedeva la pubblica carità
non organizzata; qualche volonteroso raccoglieva le offerte dai passanti e,
raggiunta una somma sufficiente, incaricava due facchini di portare il cadavere,
steso su di una tavola, al cimitero per la sepoltura.
L’uso del cappuccio, che
successivamente avrebbe assunto la funzione di mantenere la segretezza nelle
riunioni e nelle processioni, è sicuramente stato introdotto in origine come
protezione dalle malattie. A tale scopo vennero anche utilizzati cappucci muniti
di un filtro a forma di becco, che, nell’intenzione di chi lo portava, doveva
servire a minimizzare il rischio di contagio. Se la vita religiosa,
liturgica e cultuale si esprime in questo periodo in prevalenza attraverso le
confraternite, profonde differenze intercorrono tra i centri urbani e i piccoli
agglomerati sparsi nel territorio. In questi ultimi, l’intera popolazione di
solito fa capo ad un’unica confraternita, in titolata spesso al Santissimo
Sacramento e localizzata nella chiesa principale, cui si aggiunge una
confraternita mariana nella versione legata a!la recita del Rosario,
polarizzando in questo modo una ripartizione maschile, che rivendica a sé la
gestione dei beni ecclesiastici, e dall’altro canto offre uno sbocco
istituzionale alla religiosità femminile. Infatti, la natura prevalentemente
maschile di questo tipo di associazionismo non è tuttavia esclusiva; a volte era
permesso l’accesso alle donne, alle quali però erano vietate le cariche
istituzionali. Successivamente questa specie di divieto decade e vengono a
costituirsi anche confraternite di sole donne. Questo risulta essere molto
importante perché veniva offerta loro la possibilità di aggregazione sociale e
di partecipazione al di fuori dei confini della famiglia: per le donne nel
Cinquecento questa era una opportunità rarissima.
Non appena la rilevanza
urbana di un centro abitato lo consente, il panorama delle confraternite si
articola in un quadro più complesso, in cui i vari segmenti di popolazione si
raccolgono in un ventaglio che abbraccia sia le confraternite di mestiere, sia
le confraternite frutto di missioni dei predicatori che vengono effettuate nel
contado.
Di altra natura e con
carattere quasi esclusivamente devozionale erano le Confraternite del Carmine,
fondate dai frati Carmelitani, quelle della cintura, promosse da gli Eremitani
di Sant’Agostino, quelle del Rosario, diffuse dai Domenicani, in particolare
quelle del Santissimo Sacramento
che, già presenti nel ‘400, ebbero particolare incremento dopo che Paolo III le
arricchì di particolari privilegi e indulgenze.
Con l’applicazione delle
norme del Concilio di Trento (1545-1563) ed il mutato atteggiamento nei
confronti della cultura penitenziale, i contenuto più spirituale della
flagellazione veniva esaurendosi e si apriva un vuoto devozionale. I pubblici
flagellamenti, ormai circoscritti ai riti della Settimana Santa, andarono
scemando sino ad esaurirsi quasi intorno alla fine dell’Ottocento. I nuovi concetti religiosi,
introdotti dall’apostolato post tridentino
furono la catechesi, o insegnamento della dottrina cristiana e il suffragio per
le anime del purgatorio. La XXII sessione del Concilio riaffermò la dipendenza
delle Confraternite dai vescovi per quanto attiene alla parte spirituale e
ribadì lo Jus Visitando Hospitalia dell’autorità diocesana; ordinò che la
consegna del rendiconto dagli ufficiali vecchi ai nuovi avvenisse alla presenza
del parroco evitò certe manifestazioni considerate fonti di possibili deviazioni
e dissipazioni quali i pranzi sociali negli oratori e le rappresentazioni
teatrali all’interno di essi. Molto spazio venne dedicato alle processioni,
dettando norme per la partecipazione, resa obbligatoria per tutte quelle indette
dall’autorità diocesana.
Con la metà del Quattrocento
le confraternite avvertono gli influssi delle nuove correnti spirituali
all’interno del mondo cattolico e, come attestano le riforme degli statuti di
quel periodo, appaiono più impegnate nel campo dell’educazione e della
formazione religiosa e dell’assistenza ai bisognosi. I primi progetti di riforma
disciplinare e religiosa della metà del Cinquecento non fanno esplicito
riferimento alle confraternite se non per richiamare la necessità che esse
rientrino sotto il controllo dei parroci e dei vescovi così da offrire il loro
contributo al progettato rilancio della religiosità nell’ottica di Roma. Dopo il
Concilio di Trento saranno numerosi i vescovi che sollecitano la creazione della
Confraternita della Dottrina cristiana per arginare la diffusione delle dottrine
protestanti e di quella del Santissimo Sacramento per allargare la devozione
eucaristica: così, tra la fine del Cinquecento e i primi del Seicento, vediamo
sorgere confraternite di questo tipo in tutte le parrocchie più importanti.
Quasi nello stesso periodo si avvia un processo più deciso di disciplina dei
modelli della devozione e della pratica assistenziale delle confraternite
attraverso la creazione a Roma delle arciconfraterntite, organismi dotati di
ampi privilegi e di numerose indulgenze: ad esse saranno sollecitate ad
aggregarsi tutte le confraternite presenti nelle diocesi e la conseguenza sarà
che sempre più spesso si andrà imponendo localmente il modello di vita
devozionale mutuato da Roma. La sua caratteristica
specifica consiste, in sostanza, nell’essere dotata di ampi privilegi e di
numerose indulgenze da parte dei pontefici e di poterle trasferire ad altre
analoghe associazioni devote, grazie al meccanismo dell’aggregazione. Clemente
VIII (1592-1605) dispose che per ottenere l’aggregazione si presentassero gli
statuti e una lettera del vescovo attestante l’erezione canonica; venne
stabilito inoltre che non potesse aggregarsi alla stessa Arciconfraternita più
di una Confraternita per luogo. L’aggregazione delle
confraternite italiane, alle omologhe arciconfraternite romane, ha una viva
impennata con l’assimilazione nella intitolazione stessa, nell’adeguamento delle
norme statutarie e, persino, negli specifici orientamenti devozionali. Loro
massima aspirazione era l'aggregazione a qualche arciconfraternita di Roma,
perché i loro membri potessero lucrare le numerose indulgenze concesse da vari
pontefici. Ulteriore indizio di una trasformazione dei referenti per la pietà
religiosa dei laici nel Seicento è il graduale affiancarsi al cumulo dei
privilegi indulgenziali del ben più corposo accumulo di reliquie di ogni genere,
di cui ci è lasciata traccia negli inventari delle confraternite -
Nel corso del XVI secolo,
anche in seguito alla vittoria della lega Santa nella battaglia di Lepanto
contro i turchi (1571), associata, secondo Pio V all’intercessione della
Vergine, si diffusero le Confraternite Mariane. La devozione mariana tocca punte
altissime proprio in questo secolo, infatti, la figura di questa donna,
investita di funzioni celesti, suscita l’emotività più larga della gente. Entra,
con grado quasi pari, nel cerchio divino della Trinità, e vi rappresenta il polo
complementare a quello dì Cristo, permettendo alla sensibilità del devoto di
riversare le sue effusioni su un piano immediato per la sua accessibile umanità.
Nell’universo delle confraternite si riflettono gli influssi delle nuove
correnti spirituali atti ve nella vita religiosa, a cominciare dalla
modificazione della pietà eucaristica e ancora di più dalla innovazione della
recita del Rosario, destinata a modificare a tutti i livelli la fisionomia della
pietà mariana. La recita del Rosario, non più in formi individuale, costituisce
senza dubbio l’unica devozione comune che la Controriforma abbia elaborato a
livello di pietà popolare, favorita dalla tradizione legata all’intercessione
della Vergine per la vittoria della flotta cristiana nella battaglia di Lepanto
contro i Turchi nel 1571. 1 domenicani sono tra i maggiori sostenitori di questa
pratica devozionale che raggiunge una diffusione di massa tanto da arrivare alla
costituzione di vere e proprie confraternite del Rosario. Inoltre, in questi
decenni si rievoca la passione di Cristo in maniera del tutto realistica ed in
forma quasi teatrale.
Nei secoli XVI e XVII,
affievolitosi lo spirito dei flagellanti, le confraternite accentuano lo spirito
più prettamente liturgico e, con il passare del tempo acquistano anche una certa
autonomia economica, ed a volte anche una certa prosperità attraverso lasciti e
donazioni e restano profondamente radicate nel territorio o nel quartiere, ecco
allora nascere rivalità, antagonismi e campanilismi; questa competitività si
esprime anche con i crocifissi processionali, sempre più grandi e maestosi,
soprattutto in Liguria e nelle diocesi limitrofe, ed in certi momenti le
Autorità componenti cercano di mettere freno a certi sfarzi. Una particolare
usanza ligure merita a questo proposito una segnalazione: quella di portare
l’immagine di Cristo rivolta all’indietro. Sembra che questo risalga ad un
privilegio concesso ai genovesi come premio al valore dimostrato nella
liberazione del Santo Sepolcro. La storia racconta che i Genovesi entrarono per
primi in Gerusalemme, guidati dal loro comandante Guglielmo Embriaco “Testa di
Maglio”; pare infatti che i crociati di Genova portassero in battaglia il
crocifisso rivolto all’indietro, in modo che gli infedeli non potessero vederne
il volto. Un’altra versione,invece, racconta che il privilegio di portare il
Cristo rivolto verso il portatore risalga alla battaglia di Lepanto. I genovesi,
guidati dal Doria, che combattevano con il Cristo innalzato come vessillo,
vedendo avanzare i Turchi, voltarono dalla propria parte l’immagine di Cristo,
per attingere coraggio ed ottenere la di Lui benedizione e perché i Turchi non
erano degni di guardarlo. In memoria di questo fatto, il Papa concesse ai
Genovesi che nelle processioni tenessero l’immagine del Cristo voltata verso
colui che lo portava. La tradizione, come spesso accade, tuttavia si ricollegava
con la praticità; infatti i pesanti e maestosi crocifissi, risultavano
impossibili da portare, per evidenti problemi di equilibrio, rivolti in avanti e
quindi il privilegio genovese venne utilizzato anche da altre confraternite non
genovesi.
Durante i primi anni del 600
proseguì il tentativo dell’autorità vescovile di tenere sotto controllo le
Confraternite e non poche di esse acconsentirono alla revisione dei loro statuti.
Con la bolla Quaecumque di Clemente VIII del 7 dicembre 1604 si escludeva
l’iniziativa laica delle nuove aggregazioni. Accanto a questo primo
fattore significativo di disciplina e di controllo sulla vita delle
confraternite, per tutto il Seicento non se ne aggiungeranno altri. La
proliferazione di confraternite mariane e di altre dalle titolazioni e finalità
più diverse appare anzi come il segno più sicuro della inefficace presenza
dell’ordinamento parrocchiale ai fini di una più generalizzata attuazione della
riforma tridentina. Alla fine del secolo XVIII
le Confraternite trovarono tuttavia come avversari i principi riformatori del
tempo e ne fu inceppata l’attività di beneficenza, usurpandone il patrimonio a
vantaggio dello stato.
Con il Settecento quel
progetto di instaurazione di un organico e disciplinato ordinamento basato sulla
centralità della parrocchia comincia a diventare realtà, traendo il massimo
profitto da un progressivo indebolimento delle confraternite che ha tra le sue
cause l’ingresso sempre più significativo dei poteri pubblici nel campo
dell’assistenza e dell’istruzione, l’erosione delle proprietà che assicuravano
alle confraternite rendite consistenti, l’attenuarsi dell’impulso associativo
per fini devozionali. Quando la struttura parrocchiale è ormai dominante e
l’organizzazione pastorale della chiesa e l’attuazione del Concilio di Trento
può giungere fino all’estrema periferia, sarà il turbine della politica
riformatrice degli stati e poi l’esperienza rivoluzionaria e l’egemonia francese
sull’Europa nel primo decennio dell’Ottocento a mutare radicalmente anche il
volto e le funzioni delle confraternite che, quando troveranno le forze per
rinascere nell’età della Restaurazione, saranno istituzioni totalmente
subordinate alla parrocchia, con compiti limitati in ambito devozionale e con un
seguito tra la popolazione dei fedeli sempre meno significativo. I provvedimenti dei primi
governi rivoluzionari, come quello della rinata Repubblica Romana del 18 giugno
1798 che soppresse tutte le confraternite destinandone i beni
all’amministrazione ospedaliera, non fecero altro che estendere l’area di
applicazione nel restituire i beni delle confraternite a favore della società
civile, Il decreto napoleonico del 26 maggio 1807 non estese la normativa
repressiva in maniera uniforme per tutto il territorio italiano, ma lasciò
sussistere solo le confraternite del Santissimo Sacramento assoggettandole in
ogni caso ad uno stretto controllo da parte dei parroci. Si rendeva definitivo in
questo modo un accentramento della dinamica delle istituzioni ecclesiastiche
sottoposte alle parrocchie, come era negli intenti del riformismo religioso del
Settecento. Questa politica ecclesiastica non venne peraltro contraddetta negli
stati italiani durante la Restaurazione. Solo al centro della penisola, nel
cuore dello Stato Pontificio, i provvedimenti napoleonici assunsero il carattere
di una perturbazione limitata nel tempo, cui seguì una rapida e pressoché
integrale ricostituzione di confraternite, anche in virtù di una nuova ondata di
missioni popolari che ne percorse le campagne a spazzare via ogni minima traccia
del passaggio degli eserciti francesi. Per quanto concerne lo Stato
Italiano, uno dei primi atti legislativi
fu la legge del 3 agosto 1862 n° 753,; che distinse le Confraternite aventi
scopo esclusivo o prevalente di culto da quelle aventi scopo esclusivo o
prevalente di beneficenza; queste ultime vennero assoggettate alla tutela
dell’autorità governativa analogamente alle opere pie.
Se la legge del 15 agosto 1867 n° 3848, sulla soppressione degli enti
ecclesiastici, esentò le Confraternite in quanto considerate enti laicali, la
successiva
legge 17 luglio 1890 n° 6972 dispose la trasformazione delle Confraternite
aventi scopo esclusivo di culti in enti di beneficenza e ne confiscò i beni
produttivi di reddito, lasciando loro soltanto quelli improduttivi come chiese
ed oratori.
Il Regio Decreto n° 1276 del
28 giugno 1934 conferiva poi la Personalità Giuridica alle Confraternite,
sancita poi sulla Gazzetta Ufficiale del Regno d’Italia n° 187 del 10 agosto
1934.
I Valdesi,
nati intorno alla figura di Pietro Valdo di Lione tra XII e XIII secolo, che
predicavano la povertà, il rifiuto del potere e la non violenza e che furono
definiti eretici per aver disobbedito al divieto di esercitare la libera
predicazione. Questo movimento sopravvisse alle persecuzioni confluendo
nella Riforma protestante del XVI secolo.
Nel 1260, l'eremìta Raniero Fasani da San Sepolcro (Perugia), diede inizio
al movimento dei disciplinati (o disciplinanti). Questi penitenti
itineranti predicavano la mortificazione del corpo mediante l'
autoflagellazione e si battevano con una "disciplina" e cioè con un
mazzo di cordicelle (generalmente cinque, in ricordo delle piaghe di Cristo)
munite di nodi o di palline di legno. A tale scopo, il saio o sacco
indossato dai penitenti, era munito, sulle spalle o sul dorso, di apposita
apertura o finestrella.
Esistevano anche confraternite che assumevano un prete per i singoli
servizi, quando ne avevano bisogno, lo pagavano praticamente a cottimo, e
non lo accettavano come membro.
Due sono le teorie sull'origine del termine "Casacce": una secondo la quale
i confratelli si radunavano in baracche di legno che il popolo denominava
appunto grosse case o casasse (V. Patrone Crevari e la sua storia 1988),
l'altra per cui deriverebbe da " far casaccia ", cioè accomunarsi sotto il
casato o la "Casata" del Santo Protettore.
In questo contesto nascevano quindi le cosiddette “Confraternite della
Morte”, addette alla pietosa pratica del trasporto dei defunti e alle
preghiere per le loro anime. Nei libri dell’Arciconfraternita di S. Maria
dell’Orazione e Morte di Roma si narra che: “nell’anno del signore 1538
alcuni devoti cristiani, vedendo che molti poveri, li quali o per la loro
povertà, overo per la lontananza del luogo dove morivano, il più
delle volte non erano sepolti in luogo
sacro, overo restavano senza sepoltura, e forse cibo di animali, mossi da
zelo di carità e pietà instituirono in Roma una compagnia sotto il titolo
della Morte, la quale per particolare instituto facesse quest’ opera di
misericordia ". Il titolo
dell’Orazione venne spesso aggiunto in seguito perché oltre a seppellire i
cadaveri, vi era l’uso di pregare per la loro anima e di esporre il
Sacramento sotto forma di Quarant’ore ogni terza Domenica del mese.